сряда, 26 август 2020 г.

Nikola Benin. La rivoluzione umanistica: una nuova visione della condizione umana

Publication: Nikola Benin



Papa Innocenzo III, L’uomo è «abominevole e inutile» È un brano tratto dal De contemptu mundi, sive de miseria conditionis humanae (“Sul disprezzo del mondo, ovvero sulla miseria della condizione umana”) scritto nei primi anni del Duecento da Lotario di Segni, un importante cardinale che sarebbe diventati papa Innocenzo III. Non c’è nessuno che possa vantare la purezza del suo cuore, poiché «tutti pecchiamo in molte cose»1 . [...] Ecco, «tra i santi nessuno è tale da non poter cambiare, i cieli non sono puri al Suo2 cospetto; perfino nei Suoi angeli ha trovato malvagità». Quanto più abominevole e inutile è l’uomo, che beve l’iniquità come fosse acqua? Non per nulla «Dio si pentì di aver creato l’uomo in terra, tanta era la malvagità degli uomini sulla terra, e tutti i pensieri dell’uomo volti in ogni momento al male: allora, preso da dolore nel profondo del cuore, distrusse l’uomo che aveva creato»3 . Certo «l’iniquità ha passato il segno, e si è raffreddata la carità di molti». «Tutti hanno tralignato, sono diventati inutili, non c’è chi faccia il bene, non ce n’è nemmeno uno». Quasi tutta la vita dei mortali è piena di peccati mortali, tanto che è difficile trovare uno che non inclini alla sinistra4 , che non si converta in vomito, che non imputridisca nello sterco. Preferiscono «gloriarsi delle malefatte ed esultare nelle azioni peggiori», «ripieni di ogni iniquità, malizia, fornicazione, avarizia, depravazione, pieni di invidia, omicidi, contese, inganni, malignità, maldicenti, calunniatori, odiosi a Dio, insolenti, superbi, gonfi, inventori di nuovi mali, disubbidienti ai genitori, sconsiderati, sfrontati, senza affetti, senza lealtà né misericordia». Di tali persone e di peggiori è pieno questo mondo [...]. Certo, «come si dissolve il fumo si dissolveranno, e come si scioglie la cera di fronte al fuoco, così i peccatori periranno al cospetto di Dio». Giovanni Pico della Mirandola, L’uomo «plasma, fabbrica e trasforma se stesso» Questo brano è tratto dalla Oratio de hominis dignitate (“Discorso sulla dignità dell’uomo”), scritto sul finire del Quattrocento da un grande umanista di prodigiosa cultura, l’allora ventiquattrenne Pico della Mirandola. E chi non ammirerebbe l’uomo? Il quale non a caso nelle sacre lettere mosaiche e cristiane1 viene designato con l’appellativo ora di «ogni carne», ora di «ogni creatura», dal momento che plasma, fabbrica e trasforma se stesso in ogni aspetto di carne, in ogni intelletto di creatura2 . [...] Ma a che scopo dico queste cose? Perché comprendiamo, dal momento 1. Le virgolette indicano citazioni (più o meno letterali) da svariati passi biblici. 2. Suo: di Dio. 3. Riferimento al Diluvio universale; la citazione è dal passo relativo del libro Genesi. 4. inclini alla sinistra: tenda a una cattiva strada. 1 5 10 15 20 1 5 1. sacre... cristiane: l’antico e il nuovo Testamento. 2. plasma... creatura: l’uomo non è predeterminato, può scegliere di essere «carne», come gli animali, o «intelletto» come gli angeli; è dunque artefice di se stesso. È la tesi centrale del Discorso. (De contemptu mundi sive de misericordie conditionis humanae, libro II, Biblioteca dei Classici Italiani: http://www.classiciitaliani.it, 2002; trad. dal latino di A. Colombo) La riproduzione di questa pagina tramite fotocopia è autorizzata ai soli fini dell’utilizzo nell’attività didattica degli alunni delle classi che hanno adottato il testo Copyright © 2007-2011 Zanichelli Editore SpA, Bologna [7593] Questo file è una estensione online dei corsi di letteratura italiana di Guido Armellini e Adriano Colombo 35 La “rivoluzione” umanistica: una nuova visione della condizione umana 6 Quattrocento che siamo nati in questa condizione di essere ciò che vogliamo essere, che dobbiamo curarci soprattutto che non si possa dire di noi che, essendo in onore, non ci siamo accorti di essere diventati simili alle bestie brute e prive di ragione. Ma dire si possa piuttosto come il profeta Asaf 3 : «Siete dèi e tutti figli dell’Eccelso»; affinché non accada che, abusando del generosissimo dono del Padre, trasformiamo da salutare in nociva per noi la libertà di scelta che egli ci ha dato. Prenda il nostro animo una sorta di sacra ambizione in modo che, senza accontentarci delle realtà mediocri, aneliamo alle supreme e ci sforziamo di conseguirle con tutte le nostre forze, dato che possiamo, se vogliamo. Sdegniamo le cose terrene, disprezziamo le celesti4 ; e insomma, posponendo tutto ciò che è del mondo, voliamo alla Corte ultramondana vicina alla suprema divinità. Là, come insegnano i sacri misteri, i Serafini, i Cherubini e i Troni5 hanno i primi posti; incapaci di cedere e insofferenti dei secondi posti, emuliamo la loro dignità e gloria. Se vorremo, non saremo in niente inferiori a loro. Papa Innocenzo III, La misera sorte dell’uomo È un altro brano dal De contemptu mundi. «L’uomo nato da donna vive per un tempo breve, ricolmo di molte miserie. Egli spunta e si consuma come un fiore, fugge come l’ombra, e non resta mai nel medesimo stato». Pochi infatti ora giungono a quarant’anni, pochissimi a sessanta. [...] Se poi qualcuno raggiunge la vecchiaia, subito il suo cuore è abbattuto, il capo è agitato, il respiro langue e l’alito puzza, il viso si corruga e la statura si curva, gli occhi si oscurano e le giunture vacillano, le narici colano e i capelli cadono, le mani tremano e i gesti deperiscono, i denti marciscono e le orecchie insordiscono. [...] «L’uccello nasce per il volo, e l’uomo nasce per la fatica». Tutti i suoi giorni sono pieni di fatica e tribolazioni, e neppure di notte la sua anima trova riposo. [...] Quanta ansietà opprime i mortali, quanti affanni li assalgono, quante preoccupazioni li molestano, quanti spaventi li terrorizzano, quanto tremore li scuote, quanto orrore li sovrasta, quanto dolore li affligge, quanta tristezza li turba, quanto turbamento li rattrista! Povero e ricco, servo e padrone, sposato e celibe, buono e malvagio, tutti sono afflitti dai tormenti terreni, e sono tormentati dalle afflizioni mondane. Credi al maestro che lo ha provato1 : «Se sarò empio, guai a me; e se sarò giusto, non potrò levare il capo per il peso dell’afflizione e della miseria». Giannozzo Manetti, «Son più i piaceri degli affanni» Questo brano è tratto dal trattato De dignitate et eccellentia hominis (“Sulla dignità e l’eccellenza dell’uomo”), composto intorno al 1450 dall’umanista fiorentino Giannozzo Manetti in polemica col De contemptu mundi di Innocenzo III. Sulle fatiche dei mortali possiamo rispondere dicendo le medesime cose che abbiamo ora risposto a proposito dei malanni della vecchiaia. Pensiamo infatti che siano molti di più i diletti che non gli affanni che agli uomiSaggio breve o articolo di giornale 3. Asaf: il «maestro dei cantori» a cui sono attribuiti nella Bibbia alcuni dei Salmi. 4. celesti: nel senso dei cieli del mondo fisico. 5. Serafini... Troni: le più alte gerarchie angeliche che circondano Dio, secondo la tradizione. 1. Credi… provato: Le citazioni di questo passo sono dal libro di Giobbe, il personaggio biblico che rappresenta la sofferenza del giusto. 10 15 20 1 5 10 15 1 (De contemptu mundi sive de misericordie conditionis humanae, libro II, Biblioteca dei Classici Italiani: http://www.classiciitaliani.it, 2002; trad. dal latino di A. Colombo) (Oratio de hominis dignitate, §§9-10, Classici della filosofia: www.rescogitans.it; trad. dal latino di A. Colombo) (De dignitate et excellentia hominis, libro IV, in Prosatori latini del Quattrocento, trad. dal latino di E. Garin, Ricciardi, MIlanoNapoli, 1952) La riproduzione di questa pagina tramite fotocopia è autorizzata ai soli fini dell’utilizzo nell’attività didattica degli alunni delle classi che hanno adottato il testo Copyright © 2007-2011 Zanichelli Editore SpA, Bologna [7593] Questo file è una estensione online dei corsi di letteratura italiana di Guido Armellini e Adriano Colombo 36 Quattrocento 6 ni operosi vengono dal loro operare. Se infatti andiamo considerando con accurata diligenza le varie azioni dell’uomo, troveremo che se è vero che nell’agire sempre ci travagliamo un poco, è ancor vero che in ogni nostra azione ci dilettiamo molto di più. È famosa sentenza d’Aristotele che necessariamente gli uomini vivendo godono; ed anzi quello stesso filosofo, nel decimo libro dell’Etica1 , discorrendo del piacere conferma e dimostra che esso è assolutamente inseparabile dall’attività dell’uomo. E, cosa anche più mirabile, dichiara che il piacere è a tal punto legato con la vita umana, che in nessun modo può esserne staccato e separato. [...]. Per questo l’uomo in tutta la sua vita, dalla nascita alla morte e in ogni tempo si allieta. Ma se la cosa sta così, senza dubbio son più i piaceri degli affanni, come abbiamo detto e spiegato sopra con più abbondante larghezza. Wiligelmo, La cacciata dal Paradiso terrestre 1. Etica: l’Etica nicomachea (“dedicata a Nicomaco”), il più importante trattato di Aristotele. Wiligelmo La cacciata dal Paradiso terrestre Modena, Duomo 5 10 15 Donatello, Davide (1440) Donatello Davide Museo nazionale del Bargello di Firenze La riproduzione di questa pagina tramite fotocopia è autorizzata ai soli fini dell’utilizzo nell’attività didattica degli alunni delle classi che hanno adottato il testo Copyright © 2007-2011 Zanichelli Editore SpA, Bologna [7593] Questo file è una estensione online dei corsi di letteratura italiana di Guido Armellini e Adriano Colombo 37 Franco Gaeta, «Una vera e propria rivoluzione culturale» A Firenze nei primi decenni del Quattrocento avvenne una vera e propria rivoluzione culturale. Come ogni vera rivoluzione essa consistette di poche ma essenziali novità che si possono così sintetizzare: 1) abbandono degli ideali medievali della povertà e della salvezza attraverso la rinuncia dei beni mondani e attraverso la fuga dal secolo; 2) rivalutazione etica dell’attività pubblica, dell’operosità economica e dell’impegno familiare e civile; 3) rilettura dell’antichità classica in una nuova chiave, corrispondente a questi nuovi ideali, e formulazione di un nuovo ideale di formazione umana. [...] L’apporto più considerevole che gli intellettuali del XV e del XVI secolo hanno dato alla formazione di una nuova immagine della società è stato quello della laicizzazione. Con questo termine non si vuol indicare una concezione nella quale la divinità venga messa da parte, ma più semplicemente una visione del mondo politico ed economico che afferma l’autosufficienza e il valore autonomo delle attività umane, considerate in se stesse, con un riferimento alla loro funzione in seno alla società e non più in connessione determinante con una vita futura, extrasocietaria, “eterna”.

 (F. Gaeta, Dal comune alla corte rinascimentale, in Letteratura italiana, I, Einaudi, Torino, 1982)





 

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